Non basta essere magri per essere felici

Se l’equivalenza fosse magrezza uguale bellezza, allora tutte le persone magre dovrebbe essere belle e magari anche felici. Mi sembra che nella quotidianità le cose non vadano esattamente così e che la felicità possa dipendere da svariati fattori. Avere un corpo che rispecchia i canoni che spesso la società ci presenta o che noi stessi riteniamo essere il “top”, potrebbe farci sentire meglio e magari potrebbe anche essere qualcosa che contribuisce ad aumentare l’autostima. Sfoggiare un corpo ideale non è però l’unica componente che crea l’autostima e anzi troppo spesso, basarsi solo su quello, potrebbe diventare rischioso. E ancora, se l’equivalenza fosse vera significherebbe che chi non è magro, chi non incarna quegli stereotipi, è destinato ad una vita infelice? Di nuovo, mi sembra che ci sia qualcosa che non torni. Autostima, corpo, magrezza, sono alcuni degli ingredienti del benessere psico-fisico ma non sono gli unici e soprattutto non sono le uniche regole che conducono alla felicità. La magrezza potrebbe aiutare a tenere alta l’autostima ma non è l’unica cosa che contribuisce a crearla. Il desiderio di dimagrire può rappresentare quindi una spinta propulsiva ad un cambiamento che potrebbe farci stare meglio: la felicità dipenderebbe dallo stare bene nel proprio corpo, dal sentirsi a proprio agio, dal guardarsi allo specchio e sorridere a se stessi. Ma se la magrezza diventa un pensiero costante, se detta le regole, se le nostre credenze si trasformano in algoritmi il cui unico risultato vuole essere un corpo perfetto, allora tutto diventa più faticoso e ci dimentichiamo che la nostra vita non è una scienza esatta, che non esistono regole che vanno bene per tutti. Indossare un corpo perfetto (perfetto per chi poi?) è la strada della felicità? Per indossare davvero il proprio corpo ci vuole ben di più che la magrezza, spesso ci vuole coraggio, quello di accettarsi così come si è, quello di fare degli sforzi per capire cosa c’è che non funziona, quello di capire qual è la strada della propria individualità e unicità, la strada della felicità insomma.

Grazie a “E” con cui ho condiviso questo articolo, lei sa che in queste parole c’è un pezzetto di lei.

 

 

 

Lo psicologo nel piatto: quando la dieta non basta più

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Dieta, magrezza, sacrificio, rinuncia, controllo. Cosa non si farebbe per perdere quei chili di troppo e sperare che la bilancia ci faccia l’occhiolino, rassicurandoci? E pensare che la parola dieta, dal greco δίαιτα, significa “modo di vivere” e indica le modalità volte a regolarizzare gli aspetti fondanti della vita quotidiana: alimentazione, sonno e movimento. Sicuramente oggi il termine ha assunto un altro valore, quello di un dimagrimento coatto, di una pratica rigida che diventa regime, nulla che abbia a che fare con l’idea di uno stile equilibrato o di una cura costante della propria vita. Quasi sempre, se l’obiettivo è perdere peso, uno dei primi passi è mettersi a dieta. Molti utilizzano tecniche fai da te come la riduzione, se non l’eliminazione, dei carboidrati, l’aumento dell’attività fisica, i digiuni, etc.; altri si rivolgono ad un professionista del settore (nutrizionista, dietista, dietologo) e seguono un percorso guidato, fatto di tecnica e strategia. Ma a volte questo non basta. Sindromi Continua a leggere

L’anoressia non è più di moda: la nuova legge francese

ManichinoÈ del dicembre 2015 la legge francese che vieta alle ragazze troppo magre di sfilare in passerella. I Parigini dicono no a chi sfida la vita per “essere bella”, a chi rischia di morire per raggiungere il sogno di una magrezza esagerata, figlia di un disturbo mentale. I trasgressori verranno puniti con pene severe, multe fino a 75 mila euro e carcere fino a 6 mesi. Saranno i medici del lavoro a visitare le modelle o le aspiranti tali, a certificare che il loro indice di massa corporea, ossia il rapporto tra peso e altezza, non sia inferiore a 18: questa è la soglia limite di un peso che non è ancora patologico e che esclude la diagnosi di un disturbo alimentare. Ma siamo davvero sicuri che basti un certificato di buona salute ad attestare che non c’è niente di patologicamente conclamato? Un certificato può davvero misurare fino in fondo la possibile sofferenza che queste ragazze legate ad un corpo, che diventa immagine e marchio, provano? Può escludere le difficoltà e le pressioni a cui spesso sono sottoposte queste modelle? È solo di qualche tempo fa la denuncia da parte di Charli Howard Continua a leggere