Indosso chili di troppo.
Sono l’abito dell’insoddisfazione.
Una veste imbarazzante ricamata di vergogna e senso di colpa.
Ha la forma dell’esagerazione, è lacero il suo aspetto.
Vorrei liberarmi, trasformarmi, assomigliare alla leggerezza.
Il mio desiderio di perdere un grammo è la meta per guadagnare chili di libertà.
Sono un tutt’uno con il mio peso, che detta legge alla mia anima, la sottomette, scoraggia.
E adesso anche l’abito stretto della frustrazione conosce la mia misura.
Nell’ambito del progetto Ostaggi del cibo, con questo testo si completa il quadro delle categorie che definiscono i disturbi alimentari “propriamente detti”, Anoressia, Bulimia, BED. Nei precedenti articoli ho condiviso i miei pensieri e le mie riflessioni su quella che è la sofferenza che i pazienti portano nei loro racconti, vivono nel loro corpo. Perché al di là della magrezza o della pesantezza, delle restrizioni o delle abbuffate, delle qualità o della quantità dei cibi, i disturbi alimentari sono una modalità comunicativa, sono una strada per esprimere la sofferenza, un grido d’aiuto che dovrebbe fare eco nella coscienza di tutti.