I disturbi alimentari non vanno in vacanza

Siamo tornati dalle vacanze e pensiamo che la prova costume sia finita. In realtà per chi soffre di un disturbo alimentare, per chi fa fatica a mettersi davanti lo specchio, per chi vede il cibo come un nemico, la prova costume non finisce mai. La prova costume dura tutta la vita se faccio fatica ad accettare il mio corpo e sento il giudizio degli altri che pesa sulla mia pancia.

I disturbi alimentari non sono capricci

Basta solo che mangi un po’ di più! Ma che ci vuole? Devi solo metterti a dieta. Serve solo un po’ di impegno. Con la buona volontà ce la farai.

Queste e molte altre sono le frasi che sentiamo proferire da chi crede che la dieta sia l’unica soluzione. Da chi pensa che essere in peso-forma sia l’unico modo per stare bene con se stessi. Da chi giudica l’aspetto fisico in maniera intransigente e considera il corpo come un portare di chili. Da chi non pensa che un disturbo alimentare sia molto di più che avere poca volontà.

A farne le spese è l’autostima, la forza di volontà, la determinazione di chi, divorato dai problemi con il cibo, sente certe frasi come ferite sulla propria pelle. Di chi ha ormai l’animo lacerato da frasi fatte e luoghi comuni. Di chi del giudizio altrui ne fa il proprio nutrimento quotidiano e consegna alla bilancia il proprio valore. Di chi soffre di un disturbo alimentare e fa fatica ad ammetterlo anche a se stesso.

Ognuno ha il proprio rapporto con il cibo e ogni giorno si confronta con ciò che mangia, spesso cercando patti e compromessi con piatti che sembrano spietati. Ognuno si confronta con il proprio aspetto fisico che delle volte sembra non essere mai abbastanza, mai in linea con canoni auto-imposti. Esiste però una linea di protezione che consentirebbe di proteggersi? Di respirare un po’ di leggerezza al di là chili di troppo? Sì, esiste. Esiste davvero. E’ quel varco che permette di dire che c’è una difficoltà, che farcela da soli è troppo faticoso. E’ quel delicato passaggio che va dall’imbarazzo alla voglia di prendersi cura di se stessi; dall’ennesima dieta non seguita abbastanza al sentirsi libero dai sensi di colpa.

Perché le diete non sono mai le soluzioni, non sono un modo di volersi bene di più e di accettarsi meglio, se il dolore è nel corpo e si lotta per accettare se stessi.

Ostaggi del cibo

Ostaggi del cibo è il tentativo di dare voce alla sofferenza che nasce da un cibo che appesantisce, dal vivere in un corpo che non è mai abbastanza, dalle emozioni che ne derivano e confondono. I protagonisti di questo progetto sono i piatti scalfiti dalle parole, dalle frasi, dai pensieri che riempiono o invadono la testa e il cuore. Accade di diventare ostaggi del cibo, spesso senza comprenderne la ragione, senza poter trovare via d’uscita. Ma un riscatto è possibile, di certo faticoso, costoso, ma vale la pena tentare, se la rivincita che ci aspetta è una vita nuova

Insostenibile pesantezza

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Indosso chili di troppo.

Sono l’abito dell’insoddisfazione.

Una veste imbarazzante ricamata di vergogna e senso di colpa.

Ha la forma dell’esagerazione, è lacero il suo aspetto.

Vorrei liberarmi, trasformarmi, assomigliare alla leggerezza.

Il mio desiderio di perdere un grammo è la meta per guadagnare chili di libertà.

Sono un tutt’uno con il mio peso, che detta legge alla mia anima, la sottomette, scoraggia.

E adesso anche l’abito stretto della frustrazione conosce la mia misura.

Nell’ambito del progetto Ostaggi del cibo, con questo testo si completa il quadro delle categorie che definiscono i disturbi alimentari “propriamente detti”, Anoressia, Bulimia, BED. Nei precedenti articoli ho condiviso i miei pensieri e le mie riflessioni su quella che è la sofferenza che i pazienti portano nei loro racconti, vivono nel loro corpo. Perché al di là della magrezza o della pesantezza, delle restrizioni o delle abbuffate, delle qualità o della quantità dei cibi, i disturbi alimentari sono una modalità comunicativa, sono una strada per esprimere la sofferenza, un grido d’aiuto che dovrebbe fare eco nella coscienza di tutti.

Ostaggi del Cibo

Ostaggi del cibo

OSTAGGI DEL CIBO

Prede e ricatti.

Sofferenza e speranza.

Vittime indiscriminate di un dolore sordo.

Anime prigioniere di se stesse.

Piatti come macigni, voragini scivolose, vicoli ciechi che non meritano fiducia.

Sono ostaggio del cibo: lo vedo come un nemico, mi spaventa il suo potere.

Come un carnefice mi sevizia con i suoi odori, tenta iI mio desiderio per poi costringermi a serrare la bocca.

Sono prigioniera del cibo, che influenza la mia vita, mi obbliga. La sua forza mi sottomette.

Sul mio palato rimane solo l’amaro, il sapore indistinto di rinuncia e dolore.

Aspetto.

Chi mi salverà dalla conta senza sosta delle calorie ingerite? Chi mi solleverà dall’infame senso di colpa?

Chi ascolterà il mio grido? Chi colmerà il mio vuoto?

Il mio corpo cambia, si trasforma, ma non è mai abbastanza.

Queste parole accompagnano un lavoro condiviso, frutto delle idee di una psicologa e di una fotografa che hanno messo insieme competenze e entusiasmo, fondendoli nel progetto “Ostaggi del cibo”. Una rubrica, un momento di riflessione contro chi pensa che i disturbi alimentari siano capricci, risultato di una società che oggi dà troppo e con troppa facilità. Dalla parte di chi, prima di mangiare, chiede il permesso al cibo, di chi si sente sopraffatto da piatti che divorano e sembrano famelici, di chi utilizza il cibo per colmare o placare vuoti enormi. La psicologia e la fotografia si fondono, la teoria e la pratica si completano per offrire un quadro che è forza, dolore, controllo, amore e mancanza. Carmen Settanta e Tiziana Manta, unite dal desiderio comune di coinvolgere e sensibilizzare l’occhio di tanti, affrontano un tema non così lontano dalla vita di ognuno di noi, perché forse un po’ di sofferenza ci appartiene comunque. Appartiene a chi troppo poco spesso si accorge che curare il corpo significa nutrire l’anima.