NON ESISTE IL PESO FORMA

Esiste un peso ed esiste una forma. Esiste il peso che ti fa star bene ed esiste la forma che caratterizza il tuo corpo. Certo, c’è un peso che ti assicura benessere e preserva la tua salute. E c’è una forma all’interno della quale ci si sente a proprio agio. Il “giusto”peso forma è quello che decidi tu sulla base del tuo sentire e non sui numeri imposti da una bilancia che può condizionare il tuo umore. Certo, se non sto bene nel mio corpo, se provo disagio, se alcune parti di me mi imbarazzano, posso fare delle scelte che mi portano ad avere un peso forma ma sempre come risultato di azioni consapevoli e non di modelli imposti dall’esterno.

Libertà per le emozioni

Quasi verso le fine di un percorso di psicoterapia, una mia paziente mi regala queste parole. Mi manda un whatsapp con il suo elenco di “cose” che ha capito durante il percorso fatto insieme. Mi sembra il manifesto del suo sentire, un grido per la libertà delle sue emozioni, ma forse anche per quelle di ognuno di noi: le trovo così umane, così vere queste parole. Qualche nutrizionista potrebbe dissentire per l’ultima frase ma io mi commuovo comunque perché sono fiera del lavoro intenso e spesso faticoso fatto insieme. Grazie ad A che mi ha permesso di pubblicare un pezzo di sé.

Ode al cibo, sempre e comunque

Questa ode rappresenta la possibilità di riflettere sul rapporto unico che ognuno ha con il cibo: le modalità con cui ci avviciniamo ci dicono qualcosa in più su di noi, sempre e comunque.

Cibo che gratifica
e fa paura.
Cibo che tormenta e dà rifugio. 
Cibo che affanna e protegge.
Cibo che consola, placa e rasserena.
Cibo che dà energia.
Cibo che trabocca dalla tavola e diventa spreco.
Cibo che nausea.
Cibo che cura ferite e coccola.
Cibo che sa di dolcezza anche se ha un sapore amaro.
Cibo che premia e dà calore.
Cibo per scontare una colpa e cibo colpevole. Cibo che tenta e costringe.

Cibo di cui solo tu scegli forma e sapore.

Cibo che ha infiniti significati, cibo che può diventare vita, via, quella verso la consapevolezza del rapporto unico che ognuno ha con ciò che mangia.

Il Natale non arriva se soffri di un disturbo alimentare

Potrebbe essere vero che il Natale quando arriva, arriva (cit) o quanto meno, non passa inosservato…è il mondo attorno a noi a ricordarcelo: le città si colorano di rosso,  si vestono di luci e scintillii, si pensa a come riempire pacchetti regalo e grandi tavolate. Il Natale suscita reazioni e vissuti differenti nella mente, nel cuore e nel corpo di chi si appresta a vivere questo periodo dell’anno e il mio pensiero, in questi giorni, va a tutti i miei pazienti e non, a tutte le persone che soffrono di un disturbo alimentare o che, al di là delle etichette, sono in lotta con il proprio corpo e con il cibo.  Il Natale arriva anche per proporre menù pregiati e ricette prelibate, ma se qualcuno molla il conto delle calorie e si abbandona a qualche concessione (dicendosi: va beh, tanto sono arrivate le feste!), allo stesso modo è immaginabile quanta fatica possa fare a Natale, una persona che giornalmente fa i conti con la spietatezza delle calorie ingerite. Per molti, cenoni e feste possono assomigliare ad un tormento il cui ritornello urla di resistere e trattenersi dalle tavole inondate di cibo. Certo dev’essere forte, è come dire ad un alcolista di farsi un giro in una cantina senza poter assaggiare nulla…E un pensiero va anche ai familiari di chi soffre di un disturbo alimentare, a loro che si trovano nella difficoltà di non sapere bene come muoversi, cosa preparare, se festeggiare e con chi. Perché questo genere di problemi invade tutta la famiglia, crea situazioni ad alta tensione soprattutto nei momenti che precedono o seguono i pasti: la varietà, la qualità e la quantità dei cibi natalizi potrebbe essere un detonatore pronto a fare esplodere un conflitto “a cibo”. Se aggiungiamo poi che il Natale fa da sfondo al ritrovarsi con familiari che non si vedono da tempo, ecco che le sensazioni di sentirsi osservati e sotto giudizio, possono essere dietro l’angolo. Insomma se il Natale arriva anche per incontrarsi davanti al cibo, che rappresenta uno dei modi per far festa e per scambiarsi gli auguri, è anche credibile che dietro alle portate presentate in quantità industriale, come fosse l’ultimo Natale del mondo, si celino vissuti intimi e delicati, permeati di sofferenza e tensione.
Preciso che le riflessioni esposte fin qui, sono lontane dall’intento di demonizzare il periodo natalizio, le mie parole vorrebbero solo essere un gesto di empatia e vicinanza per chi, di fronte a bilanci e buoni propositi, fatica ad apprezzare se stesso e vive una lotta con il cibo che gli divora l’anima.

Non basta essere magri per essere felici

Se l’equivalenza fosse magrezza uguale bellezza, allora tutte le persone magre dovrebbe essere belle e magari anche felici. Mi sembra che nella quotidianità le cose non vadano esattamente così e che la felicità possa dipendere da svariati fattori. Avere un corpo che rispecchia i canoni che spesso la società ci presenta o che noi stessi riteniamo essere il “top”, potrebbe farci sentire meglio e magari potrebbe anche essere qualcosa che contribuisce ad aumentare l’autostima. Sfoggiare un corpo ideale non è però l’unica componente che crea l’autostima e anzi troppo spesso, basarsi solo su quello, potrebbe diventare rischioso. E ancora, se l’equivalenza fosse vera significherebbe che chi non è magro, chi non incarna quegli stereotipi, è destinato ad una vita infelice? Di nuovo, mi sembra che ci sia qualcosa che non torni. Autostima, corpo, magrezza, sono alcuni degli ingredienti del benessere psico-fisico ma non sono gli unici e soprattutto non sono le uniche regole che conducono alla felicità. La magrezza potrebbe aiutare a tenere alta l’autostima ma non è l’unica cosa che contribuisce a crearla. Il desiderio di dimagrire può rappresentare quindi una spinta propulsiva ad un cambiamento che potrebbe farci stare meglio: la felicità dipenderebbe dallo stare bene nel proprio corpo, dal sentirsi a proprio agio, dal guardarsi allo specchio e sorridere a se stessi. Ma se la magrezza diventa un pensiero costante, se detta le regole, se le nostre credenze si trasformano in algoritmi il cui unico risultato vuole essere un corpo perfetto, allora tutto diventa più faticoso e ci dimentichiamo che la nostra vita non è una scienza esatta, che non esistono regole che vanno bene per tutti. Indossare un corpo perfetto (perfetto per chi poi?) è la strada della felicità? Per indossare davvero il proprio corpo ci vuole ben di più che la magrezza, spesso ci vuole coraggio, quello di accettarsi così come si è, quello di fare degli sforzi per capire cosa c’è che non funziona, quello di capire qual è la strada della propria individualità e unicità, la strada della felicità insomma.

Grazie a “E” con cui ho condiviso questo articolo, lei sa che in queste parole c’è un pezzetto di lei.